Incidente e guida in stato di ebbrezza: da quando decorre il termine di tre anni per poter avere una nuova patente?

Nel caso in cui il conducente di un veicolo provochi un incidente (anche senza danni alle persone) e venga accertato che mentre guidava era sotto l’influenza di stupefacenti o in stato di ebbrezza (con un tasso alcolemico superiore agli 1,5 grammi per litro) potranno essere applicate sanzioni penali severe e, per quanto qui di interesse, anche la revoca della patente, a fini di prevenzione generale.

Nella prassi, le forze dell’ordine, dopo aver fatto gli accertamenti del caso, provvedono al ritiro della patente e la trasmettono alla Prefettura che applica con ordinanza un periodo di sospensione cautelare. La revoca deve poi essere applicata dal Giudice all’esito del processo penale ed eseguita dal Prefetto: il soggetto interessato potrà quindi sostenere un nuovo esame per riavere la patente, ma non prima di tre anni.

I punti poco chiari sono numerosi e le norme di riferimento non eccellono per chiarezza. Vi sono seri dubbi interpretativi poiché l’art. 219 c. 3 ter c.s. prevede che “quando la revoca della patente è disposta a seguito delle violazioni” riguardanti la guida in stato di ebbrezza o la guida in stato di alterazione per uso di stupefacenti (art. 186 e 187 c.s.), “non è possibile conseguire una nuova patente di guida prima di tre anni dalla data di accertamento del reato”.

 

Ma cosa si intende esattamente per accertamento del reato?

Non è chiaro da quando debba partire il calcolo del triennio durante il quale il soggetto interessato non potrà né guidare, né chiedere di essere ammesso all’esame per ottenere una nuova patente di guida: se dal momento del sinistro, dell’accertamento dei fatti da parte degli inquirenti, del ritiro della patente, o dal momento del passaggio in giudicato della sentenza con cui il giudice penale ha accertato il fatto contestato. Così, non si comprende se, nell’ipotesi in cui il processo penale sia terminato dopo più di tre anni dai primi accertamenti, il condannato possa sostenere immediatamente l’esame per ottenere una nuova patente o debba attendere tre anni dal passaggio in giudicato della sentenza.

Inoltre non è chiarito dal codice della strada se il periodo di sospensione già sofferto per effetto del ritiro della patente e dell’ordinanza della Prefettura debba essere scomputato dal triennio. Si pensi, ad esempio, al caso in cui il Prefetto abbia sospeso la patente per un anno in attesa del processo penale: dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, il condannato dovrà attendere due o tre anni per poter sostenere un nuovo esame?

 

La giurisprudenza

Un’interessante ordinanza del Tribunale civile di Bologna (Seconda sezione n. 5789 del18 luglio 2018) ha osservato che il triennio di revoca deve essere conteggiato dall’accertamento del reato, da intendersi quale accertamento del fatto-reato da parte degli agenti operanti. In tal modo, il periodo di sospensione provvisoria inflitta andrebbe scomputato dal triennio di durata della sanzione della revoca della patente.

Lo stesso tema è stato poi ripreso dalla Cassazione civile, con una pronuncia del 2019 (Cass. civ. Sez. II, Sent., n. 13508 del 20.05.2019), ma i principi di diritto riportati in motivazione sono stati mal interpretatati da quasi tutti i commentatori. In particolare, tale pronuncia si limita ad affermare che la revoca ha natura differente rispetto alla sospensione cautelare e provvisoria applicata dal Prefetto al momento del ritiro della patente: invero, la revoca non viene materialmente in esistenza prima che il Giudice penale la pronunci.

In altre parole: si puntualizza che, a differenza della sospensione, la revoca della patente non può essere applicata dalla Prefettura prima dell’inizio del processo penale, ma solo dopo che la sentenza penale è passata in giudicato. La stessa sentenza non chiarisce tuttavia gli ulteriori dubbi, limitandosi a porre l’accento sull’interesse che avrebbe avuto l’interpretazione delle parole “accertamento del reato”. Interpretazione che tuttavia non viene fornita.

Da ultimo, con la sentenza n. 126 del 7.01.2020, la quarta sezione della Cassazione penale, riprendendo gli argomenti del Tribunale di Bologna, ha affermato che:

  1. il provvedimento di revoca della patente non esiste prima che il giudice penale lo pronunci con sentenza definitiva: il provvedimento di sospensione cautelare provvisorio applicato dal Prefetto ha infatti tutt’altro contenuto;

  2. il cumulo della sospensione cautelare e della inibizione di tre anni correlata alla revoca non può in ogni caso superare i tre anni e “il termine finale dell’inibizione collegata alla revoca deve essere ridotto dell’esatto numero di giorni in cui il ricorrente è rimasto privo della facoltà di guidare”;

  3. è il Prefetto che si occupa sia della sospensione provvisoria, sia della esecuzione della revoca applicata con la sentenza dal Giudice penale;

  4. al Prefetto spetta dunque anche la “modulazione del triennio”, ossia lo scomputo della sospensione applicata in sede cautelare dal periodo residuo di inibizione dei tre anni conseguente alla sentenza del Giudice penale passata in giudicato;

  5. sia la sospensione che la revoca della patente sono sanzioni amministrative adottate a fini di prevenzione generale per impedire la reiterazione di condotte analoghe a quelle già poste in essere: la maggiore gravità della revoca si pone in rapporto di progressività rispetto alla mera sospensione, per fatti ritenuti più gravi dal Legislatore;

  6. il triennio “secco” di revoca va dunque conteggiato dal momento di accertamento del fatto-reato accertato dagli agenti operanti e, per così dire, verificato con sentenza passata in giudicato del Tribunale penale: “In tal modo, il periodo di inflitta sospensione provvisoria va scomputato dal triennio di durata ex lege della sanzione amministrativa accessoria della patente”;

  7. in ultima analisi occorre un accertamento del Giudice penale per poter applicare la revoca della patente poiché, “prima del giudicato, la sanzione amministrativa accessoria non si è stabilizzata come dictum e quindi la figura esecutiva non può entrare in gioco, ma ciò non significa che il triennio debba essere calcolato solo dal giudicato essendo diversi gli ambiti”.

Se è vero quindi che l’accertamento dei fatti dipende dalla sentenza passata in giudicato, è anche vero che i tre anni di inibizione dalla guida non possono sommarsi al periodo di sospensione precedente e devono essere scomputati per evitare ingiuste duplicazioni sanzionatorie.

 

In conclusione

Il vero problema resta sempre lo stesso: la durata del processo penale. L’interpretazione della Suprema Corte non risolve i casi di inibizione dalla guida “a singhiozzo”, quando, ad un periodo di sospensione cautelare di uno o due anni, segue la restituzione della patente in attesa dell’esito del processo penale. Nel periodo intermedio l’interessato potrà liberamente guidare. Stando alla giurisprudenza, pare che al momento della condanna il Prefetto dovrà togliere nuovamente la patente al condannato per il periodo residuo ed impedirgli l’accesso all’esame fino al raggiungimento del totale di tre anni.

In conclusione, tutti i dubbi interpretativi lasciano spazio ad una certezza granitica: la funzione general-preventiva della revoca della patente resta frustrata dalle lungaggini processuali. In queste condizioni la revoca non sembra una misura con funzione general-preventiva, ma suona come una vera e propria sanzione punitiva che duplica quella penale dell’arresto, già prevista dalla norma.

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