La nozione di violenza domestica e di genere, non richiamata dal Codice Rosso, viene sanzionata – anche in adempimento degli obblighi internazionali assunti dall’Italia – da una serie di reati, tra i quali si possono annoverare: maltrattamenti contro familiari e conviventi, i delitti di violenza sessuale, gli atti persecutori e i nuovi reati di revenge porn, matrimonio forzato e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso. Più in particolare, la violenza di genere rappresenta un complesso fenomeno sociale radicato in disuguaglianze di potere e stereotipi di genere. Essa si manifesta in molteplici forme, dalla violenza fisica a quella psicologica, sessuale ed economica, e coinvolge individui di ogni estrazione sociale e culturale. La violenza domestica costituisce una sottocategoria della violenza di genere, caratterizzata dalla sua occorrenza all’interno di relazioni intime e familiari. Tale forma di violenza è spesso accompagnata da dinamiche di controllo e dominio, che possono manifestarsi attraverso comportamenti coercitivi, isolanti e minatori.
Da un punto di vista normativo, la violenza di genere è stata definita dalla convenzione di Istanbul ratificata dall’Italia e dalla direttiva 2012/29/UE, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, come quella forma di violenza “diretta contro una persona a causa del suo genere, della sua identità di genere o della sua espressione di genere o che colpisce in modo sproporzionato le persone di un particolare genere. Può provocare un danno fisico, sessuale o psicologico, o una perdita economica della vittima. La violenza di genere è considerata una forma di discriminazione e una violazione delle libertà fondamentali della vittima e comprende la violenza nelle relazioni strette, la violenza sessuale (compresi lo stupro, l’aggressione sessuale e le molestie sessuali), la tratta di esseri umani, la schiavitù e varie forme dannose, quali i matrimoni forzati, la mutilazione genitale femminile e i c.d. reati d’onore”.
Per violenza domestica, secondo quanto previsto dalla c.d. “Legge sul femminicidio” (legge 119 del 2013), si intendono “tutti gli atti, non episodici, di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o persone legate da relazione affettiva in corso o pregressa, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.
La violenza assistita rappresenta un’ulteriore forma di violenza psicologica sui minori caratterizzata dall’esposizione ripetuta o prolungata ad episodi di violenza domestica. Il minore, in qualità di testimone involontario, subisce un impatto emotivo e psicologico profondo, le cui ripercussioni possono estendersi nel lungo periodo. Questo tipo di violenza è stato riconosciuto dall’OMS come una grave forma di maltrattamento ed è stato identificato come aggravante dalla legge 119 del 2013 (art. 61 n. 11 quinquies c.p.). Il Codice Rosso, inoltre, ha qualificato il minore vittima di violenza assistita quale persona offesa dal reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi: lo stato di sofferenza e di umiliazione della vittima richiesto dalla norma, difatti, può derivare anche dal clima generato dall’autore del reato come conseguenza di atti di vessazione e sopraffazione.
In conclusione violenza domestica, violenza di genere e violenza assistita sono tre diversi fenomeni, spesso legati tra loro, che si esplicano in condotte di abuso e sopraffazione portando ad una sofferenza fisica e/o psicologica delle vittime che possono essere, tuttavia, tutelate attraverso gli strumenti disciplinati dalla normativa penale.
Ottobre 2024
Eleonora Yusuf